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L'effetto placebo tra farmaci e studi clinici

Farmaci Redazione DottNet | 06/03/2019 11:45

Tra il 17% e l' 80% dei medici e tra il 51% e il 100% degli infermieri ha somministrato almeno una volta nel corso della propria carriera un placebo 'puro'

L''effetto placebo' non è una bufala, anzi. E' reale e in alcuni casi è persino utilizzato come strumento terapeutico. A fare chiarezza sono gli esperti su 'Dottore, ma è vero che...?', il portale della Federazione degli Ordini dei medici per smontare le fake news dilaganti in medicina e sanità. Intanto, per placebo si intende "una sostanza o una procedura non attiva (sia in positivo che in negativo) nei confronti della condizione per cui viene utilizzata. L' effetto placebo, invece, è la reazione che l' assunzione di un placebo determina sulla salute dell' individuo. Per esempio: il miglioramento dei sintomi associato all' assunzione di una terapia assolutamente inerme e inutile da un punto di vista fisiologico". Ha un ruolo fondamentale nelle sperimentazioni, dove "è utilizzato come termine di paragone in tutti gli studi clinici finalizzati a stabilire l' efficacia di una nuova terapia". L' effetto placebo, tuttavia, chiariscono gli esperti, "non riguarda solo le terapie 'fasulle', ma tutte le procedure mediche: ogni trattamento, anche farmacologico, produce infatti un effetto che è legato all' idea stessa del suo potere curativo. Quando si prende un' aspirina, ad esempio, una parte della sua efficacia è legata al principio attivo, mentre un' altra dipende dall' idea stessa che l' aspirina faccia bene".

E infatti, si sottolinea su 'Dottore ma è vero che...?', l' effetto placebo viene sfruttato in ambito clinico "più di quanto si pensi. Secondo i risultati di uno studio del 2010, in cui sono stati raccolti i dati provenienti da 22 sondaggi condotti in 12 Paesi, è emerso che tra il 17% e l' 80% dei medici e tra il 51% e il 100% degli infermieri coinvolti avevano somministrato almeno una volta nel corso della propria carriera un placebo 'puro' (per esempio, un' iniezione di soluzione salina o pillole di zucchero), soprattutto per il trattamento di ansia, dolore, insonnia, alcuni disturbi psicosomatici e abuso di sostanze". Tuttavia, "segnalano gli autori della ricerca, 'sembra che la reale frequenza d' uso sia piuttosto rara'. Più diffuso, invece, potrebbe essere l' utilizzo di placebo 'impuri' (per esempio, antibiotici utilizzati nel trattamento di malattie virali), ma questo fenomeno è più difficile da quantificare in quanto non esiste una definizione condivisa di questo tipo di interventi".

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"I meccanismi attraverso cui può manifestarsi l' effetto placebo - spiegano ancora gli esperti - sono variabili e legati alla situazione specifica. Uno degli ambiti più studiati riguarda la relazione tra placebo e dolore, dove un ruolo centrale sembra essere giocato dall' aspettativa stessa della riduzione del dolore: quando si assume un trattamento o ci si sottopone a una qualsiasi procedura medica per questa indicazione". Ebbene, "la sola aspettativa della sua efficacia è in grado di attivare il rilascio di oppioidi endogeni nelle aree del cervello che controllano le sensazioni dolorose. Infatti, se dopo la somministrazione di un placebo si procede con quella di una sostanza in grado di bloccare l' attività degli oppioidi endogeni, l' effetto placebo si riduce o scompare".

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